giovedì 31 maggio 2012

Italo Calvino - Italiani, vi esorto ai classici

Ragazza che legge un libro in spiaggia - Picasso
 
Con il gruppo di lettura Il Segnalibro abbiamo deciso di impegnarci, durante i mesi estivi, nella lettura di un “classico” della letteratura, italiana e non.
Quale miglior modo per essere ricevere l’ispirazione giusta nell’affrontare questo impegno se non le parole del grande e amatissimo Italo Calvino.

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We decided together with the friends from our book club that the next reading on our summer list shoud be a classic..
What better way to embark on this journey than the inspiring words of our great and beloved Italo Calvino, from an article published on the periodical "L'Espresso" on June 28th 1981: "Why Read the Classics?"
And in the words of Calvino himself:

Then I ought to rewrite it yet again lest anyone believe that the classics ought to be read because they "serve any purpose" whatsoever. The reason one can possibly adduce is that to read the classics is better than not to read the classics.

 You can download the complete English version (seen below in Italian) here

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Cominciamo con qualche proposta di definizione.

1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito:
«Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...»

Questo avviene almeno tra quelle persone che si suppongono «di vaste letture»; non vale per la gioventù, età in cui l'incontro col mondo, e coi classici come parte del mondo, vale proprio in quanto primo incontro.
Il prefisso iterativo davanti al verbo «leggere» può essere una piccola ipocrisia da parte di quanti si vergognano d'ammettere di non aver letto un libro famoso. Per rassicurarli basterà osservare che per vaste che possano essere le letture «di formazione» d'un individuo, resta sempre un numero enorme d'opere fondamentali che uno non ha letto. […] Questo per dire che il leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario: diverso (ma non si può dire maggiore o minore) rispetto a quello d'averlo letto in gioventù. La gioventù comunica alla lettura come a ogni altra esperienza un particolare sapore e una particolare importanza; mentre in maturità si apprezzano (si dovrebbero apprezzare) molti dettagli e livelli e significati in più.
Possiamo tentare allora quest'altra formula di definizione:

2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.

Infatti le letture di gioventù possono essere poco proficue per impazienza, distrazione, inesperienza delle istruzioni per l'uso, inesperienza della vita. Possono essere (magari nello stesso tempo) formative nel senso che danno una forma alle esperienze future, fornendo modelli, contenitori, termini di paragone, schemi di classificazione, scale di valori, paradigmi di bellezza: tutte cose che continuano a operare anche se del libro letto in gioventù ci si ricorda poco o nulla. Rileggendo il libro in età matura, accade di ritrovare queste costanti che ormai fanno parte dei nostri meccanismi interiori e di cui avevamo dimenticato l'origine. C'è una particolare forza dell'opera che riesce a farsi dimenticare in quanto tale, ma che lascia il suo seme.
 La definizione che possiamo darne allora sarà:

3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.

Per questo ci dovrebbe essere un tempo nella vita adulta dedicato a rivisitare le letture più importanti della gioventù. Se i libri sono rimasti gli stessi noi siamo certamente cambiati, e l'incontro è un avvenimento del tutto nuovo.
Dunque, che si usi il verbo «leggere» o il verbo «rileggere» non ha molta importanza.
Potremmo infatti dire:

4. D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
5. D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.

La definizione 4 può essere considerata corollario di questa:

6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.

Mentre la definizione 5 rimanda a una formulazione più esplicativa, come:

7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).

Questo vale per i classici antichi quanto per i classici moderni. 
[…] La lettura d'un classico deve darci qualche sorpresa, in rapporto all'immagine che ne avevamo.
[…] Possiamo concludere che:

8. Un classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.

Non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo (o creduto di sapere) ma non sapevamo che l'aveva detto lui per primo (o che comunque si collega a lui in modo particolare). E anche questa è una sorpresa che dà molta soddisfazione, come sempre la scoperta d'una origine, d'una relazione, d'una appartenenza.
Da tutto questo potremmo derivare una definizione del tipo:

9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.

Naturalmente questo avviene quando un classico «funziona» come tale, cioè stabilisce un rapporto personale con chi lo legge. Se la scintilla non scocca, niente da fare: non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore. […] È solo nelle letture disinteressate che può accadere d'imbatterti nel libro che diventa il «tuo» libro. […]
Giungiamo per questa via a un'idea di classico molto alta ed esigente:

10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani.

Con questa definizione ci si avvicina all'idea di libro totale, come lo sognava Mallarmé. Ma un classico può stabilire un rapporto altrettanto forte d'opposizione, d'antitesi. […]
 Dirò dunque:

11. Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.

Credo di non aver bisogno di giustificarmi se uso il termine «classico» senza fare distinzioni d'antichità, di stile, d'autorità. Quello che distingue il classico nel discorso che sto facendo è forse solo un effetto di risonanza che vale tanto per un'opera antica che per una moderna ma già con un suo posto in una continuità culturale.
Potremmo dire:

12. Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.

A questo punto non posso più rimandare il problema decisivo di come mettere in rapporto la lettura dei classici con tutte le altre letture che classici non sono. Problema che si connette con domande come: «Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo il nostro tempo?» […] L'attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire «da dove» li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo. Ecco dunque che il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d'attualità. E questo non presume necessariamente una equilibrata calma interiore: può essere anche il frutto d'un nervosismo impaziente, d'una insoddisfazione sbuffante. […]
Aggiungiamo dunque:

13. È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona.

Resta il fatto che il leggere i classici sembra in contraddizione col nostro ritmo di vita, che non conosce i tempi lunghi, il respiro dell'otium umanistico; e anche in contraddizione con l'eclettismo della nostra cultura che non saprebbe mai redigere un catalogo della classicità che fa al caso nostro.
[…] I vecchi titoli sono stati decimati ma i nuovi sono moltiplicati proliferando in tutte le letterature e le culture moderne. Non resta che inventarci ognuno una biblioteca ideale dei nostri classici; e direi che essa dovrebbe comprendere per metà libri che abbiamo letto e che hanno contato per noi, e per metà libri che ci proponiamo di leggere e presupponiamo possano contare. Lasciando una sezione di posti vuoti per le sorprese, le scoperte occasionali.
[…]
Ora dovrei riscrivere tutto l'articolo facendo risultare ben chiaro che i classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati e perciò gli italiani sono indispensabili proprio per confrontarli agli stranieri, e gli stranieri sono indispensabili proprio per confrontarli agli italiani.
Poi dovrei riscriverlo ancora una volta perché non si creda che i classici vanno letti perché «servono» a qualcosa.
La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici.

E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (non un classico, almeno per ora, ma un pensatore contemporaneo che solo ora si comincia a tradurre in Italia):
«Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un'aria sul flauto. “A cosa ti servirà?” gli fu chiesto. “A sapere quest'aria prima di morire”».


Italo Calvino, "Italiani, vi esorto ai classici", «L'Espresso», 28 giugno 1981

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